Domenica 8
La realtà non si fonda sulle prove, ma sulle scelte; non sulla memoria, ma sulla presenza. È un argomento che meriterebbe una lunga trattazione, ma mi limito ad evidenziare un fatto: noi, al posto del sordomuto, ci saremmo preoccupati del selfie. Non perché siamo cattivi, ma semplicemente perché distolti dalla realtà: con quel selfie potremmo provare ciò che non abbiamo avuto il coraggio di fare nostro e a quel selfie potremmo ancorare la memoria di ciò che non ci siamo dati il tempo di vivere. Gesù non sceglie i social ma l’incontro privato per dirmi che la mia scelta di Lui è la prova del suo guarirmi e che il mio stare con Lui è l’unica memoria che, raccontata, divenga testimonianza.
Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!». Mc 7,31-37